Buono postale fruttifero: sintesi della casistica utile per affrontare le questioni che vengono proposte.

buoni postali fruttiferi

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Buono postale fruttifero: sintesi della casistica utile per affrontare le questioni che vengono proposte.

A seguito di approfondimento dei provvedimenti sia dell’autorità giudiziaria ordinaria, che dell’arbitro bancario finanziario, riguardanti i buoni postali fruttiferi, siamo in grado di rappresentare una sintesi della casistica utile per affrontare le questioni che ci vengono proposte.

Si premette che lo spazio di azione che residua in virtù dei vari pronunciamenti, anche da parte della corte costituzionale, è ormai abbastanza limitato.

Il punto di separazione è rappresentato dal decreto ministeriale del 13 giugno 1986.

Nel periodo precedente, sono stati emessi buoni della serie “N”, della serie “O”, e della serie “P”, e anche “P/O”.

La caratteristica di questi buoni, tutti trentennali, è quella di avere riportata nella faccia posteriore una tabella dei tassi di rendimento fino al 20º anno, e di un rendimento forfetario per l’ultimo decennio. La serie P/O anche una stampiglia.

Orbene, a seguito del suddetto decreto ministeriale del 13 giugno 1986 si è intervenuti in via normativa per abbattere in qualche modo gli interessi che si sarebbero dovuti corrispondere nel periodo successivo per i buoni fruttiferi emessi fino a quella data (N, O, P, P/O).

La corte di cassazione a sezioni unite con sentenza n. 3963 del 11/02/2019,  ha ritenuto legittimo l’operato di Poste italiane allorché ha liquidato gli interessi nella misura come modificata dal suddetto decreto ministeriale, ritenendo innanzitutto che i buoni postali non sono titoli di credito bensì titoli di legittimazione (grossomodo assimilabili ai libretti di deposito a risparmio) per cui vale non ciò che é scritto bensì ciò che è stabilito per il rapporto che viene regolato anche normativamente. Consegue come corollario che non si applicano le norme riguardanti i prodotti finanziari, o comunque la disciplina posta a tutela del contraente debole nei rapporti di con le banche in merito ai prodotti e strumenti finanziari, e neanche le norme previste a presidio del diritto dei consumatori quali il diritto all’informazione, appunto perché non c’è alcun rapporto di consumo, e comunque neanche sarebbe ipotizzabile una eventuale vessatorietà, ammesso che si potessero far retroagire le relative norme, e ciò in quanto si tratterebbe di provvedimenti normativi e non di clausole contrattuali.

A stroncare, poi, ogni possibilità è intervenuta anche la corte costituzionale che, con la recente Sentenza n. 20/2020, ha ritenuto legittima anche sotto il profilo della costituzionalità la suddetta normativa.

Ciò premesso, a partire dal 1 gennaio 1987 sono stati emessi i buoni della serie “Q”, anch’essi trentennali, sottoposti a maggior ragione alle prescrizioni del decreto ministeriale del 13 giugno 1986.

Per questi buoni si è creata una notevole confusione con un alternarsi di sentenze a volte sfavorevoli, a volte favorevoli, dovuta al fatto che Poste italiane (visto che non va buttato niente) ha utilizzato, in virtù di apposite disposizioni, i buoni cartacei appartenenti a serie precedenti con una rettifica mediante l’apposizione di due timbri uno nella faccia anteriore, ed un altro in quella posteriore dove vengono indicati gli interessi a norma calcolati, però, nel periodo di 20 anni. Nulla prevedendo per il 3° decennio ove fruttifero.

Fermo restando, quindi, che l’indicazione degli interessi mediante la stampiglia è da ritenersi corretta per il periodo di 20 anni, è sorto il dubbio sugli interessi da corrispondere dal 21º al 30º anno.

È stato prospettato ai titolari di questi buoni che, poiché la stampiglia che contempla interessi per i primi 20 anni é sovrapposta al piano degli interessi stampato sul retro del buono, debba farsi riferimento a questa griglia per il calcolo degli interessi dell’ultimo decennio, mentre Poste italiane ritiene che l’ultimo decennio sia sostanzialmente infruttifero, o, comunque, compensato secondo criteri non espressi al momento dell’emissione.

È sorto un contenzioso dove, a parte qualche isolato pronunciamento (Trib. Milano Sent. n. 09/2020), la giurisprudenza di merito ha ritenuto non fondato il superiore assunto sulla base del principio della correttezza e dell’affidamento (Trib. Rieti Sent. 37/2020, Trib. Catania sentenza del 30/11/2017 e del 26/03/2018). In sostanza, si dice, chi acquista un buono recante una stampiglia sovrapposta rispetto a una stampa preesistente deve far riferimento a ciò che la stampiglia in realtà rappresenta e cioè la normativa di settore, e non la griglia prestampata sul buono.

Alla luce di quanto sopra e delle due pronunce di rigetto del tribunale di Catania é stata prudenzialmente corretta la scelta di non iniziare subito con azioni legali al contrario di come hanno fatto in molti con i predetti risultati.

Ad oggi di orientamento favorevole al risparmiatore sembra essere l’arbitro bancario e finanziario che in casi del genere ha invece per lo più dato ragione ai risparmiatori.

E questo è l’unico spazio di manovra possibile. Si sconsiglia, salvo diverso consolidamento degli orientamenti giurisprudenziali, di proporre l’azione legale dinanzi al giudice ordinario, che porterebbe a pesanti condanne alle spese, privilegiando il ricorso all’arbitro bancario finanziario dove, male che vada, non ci sarebbero conseguenze devastanti.

Occorre, comunque, esaminare attentamente il buono che viene sottoposto al nostro esame.

Infatti vi sono dei buoni che contemplano un rendimento di 20 anni sia nella griglia prestampata nella faccia posteriore, sia nella stampiglia. E di questi vi sono alcuni buoni che per gli ultimi 10 anni prevedono delle competenze a forfait, e altri che prevedono un decennio infruttifero.

Bisognerà, quindi, verificare se il buono è stato scambiato, la somma che é stata riscossa, e se ci si trovi nel primo caso. Fermo restando che lo sbocco privilegiato rimane sempre l’arbitro bancario e finanziario.

Vi è poi una ulteriore categoria di buoni grossomodo emessi negli anni 90, ma si tratta di buoni a termine. In genere il periodo fruttifero è di 11 anni, trascorsi i quali se non sono stati riscossi, sono decorsi ulteriori 10 anni, e non è stato fatto alcun atto interruttivo, il diritto a riscuotere il buono si è prescritto e non si può fare nulla.

A tale proposito, e cioè in caso di prescrizione, si registra un pronunciamento del tribunale di Cosenza, che in un caso di buoni recanti una stampiglia illeggibile (perché ad esempio molto labile e non si leggono i periodi di applicazione gli interessi), ha ritenuto che non decorresse la prescrizione in quanto non era possibile individuare il termine iniziale. Ma si tratta di un caso isolato, per cui non tenterei la via giudiziaria bensì quella dell’arbitro bancario e finanziario per i motivi di cui sopra.

Prima di passare al quadro sinottico, vi è da chiarire la portata della nota sentenza della corte di cassazione n.  13979/2007, spesso erroneamente invocata.

Infatti, il presupposto essenziale è in questo caso l’errore commesso dal collocatore dei titoli, che, in vigore di una particolare serie di emissione, utilizza un buono di una vecchia serie senza apportare correzioni di sorta. Ad esempio, l’emissione in data successiva al 28/12/2000 del buono della serie AF nel vigore delle meno favorevoli serie AA1 e AA2.

In tali ipotesi, vale ciò che è indicato nel buono.

Particolare attenzione va, infine, posta alla prescrizione, e cioè 10 anni dopo la scadenza del periodo fruttifero.

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