Equo compenso e indennità dell’ADS: natura non retributiva.

Quale-compenso-per-lADS

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Equo compenso e indennità dell’ADS natura non retributiva.

 

La Commissione Tributaria Regionale triestina, precisa la definizione della natura potenzialmente duplice dell’indennità ex art. 379 cod. civ.

L’Agenzia delle Entrata con la risoluzione n. 2/E del 9.1.2012 della Direzione Centrale Normativa, aveva ritenuto “che la relativa indennità, anche se determinata in via equitativa e su base forfetaria, rappresenti comunque un compenso per lo svolgimento di un’attività professionale, inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53 del testo unico dell’imposta sui redditi e rilevante ai fini IVA ai sensi degli articoli 3 e 5 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633“.

Anche richiamando la precedente Cass. civ. n. 7355/1991, di seguito riportata, invece, la Commissione ritiene che l’indennità ex art. 379 cod. civ. non perda la sua natura pur variando il soggetto che la percepisca, sia esso un parente, un conoscente, un professionista, salvo che non vengano attribuiti compiti specificaménte tipici della professione di appartenenza dell’amministratore di sostegno, rappresentando prestazioni professionali, e come tali liquidati, nel rispetto della legge.

Pertanto, il Giudice Tutelare può liquidare le due fattispecie di compensi uno compensativo l’altro remunerativo, al professionista avente funzione di amministratore di sostegno.

Solo dal compenso remunerativo conseguono gli adempimenti tributari propri della categoria reddituale del “lavoro autonomo” e l’ordinario adempimento IVA.

Il riferimento deve quindi essere sempre e solo il provvedimento liquidatorio del Giudice Tutelare: dalla qualificazione fatta dal magistrato discende la determinazione di quanto ha, se del caso, natura retributiva.

Di seguito si riporta il testo integrale della Cassazione n. 7355/1991 e della Comm. Trib. Prov. Friuli-V. Giulia Trieste, Sez. II, Sent., 19/06/2014, n. 283.

Alberto Vigani

***

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI TRIESTE

SECONDA SEZIONE

riunita con l’intervento dei Signori:

ROVIS CLAUDIO – Presidente

SODARO ANTONINO – Relatore

ALLIGO SANTI – Giudice

ha emesso la seguente

SENTENZA

– sul ricorso n. 1/13

depositato il 03/01/2013

– avverso SIL.RIF.RIMB IVA-ALTRO 2012

Contro: AG.ENTRATE DIR. PROVIN. UFF. CONTROLLI TRIESTE

proposto dal ricorrente

(Omissis)

avv.to (Omissis), avv.to (Omissis) nelle loro qualità di componenti dello Studio Legale (Omissis) con sede in Trieste

CONTROPARTE: Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Trieste, in persona del legale rappresentante pro tempore in carica

ATTO IMPUGNATO: Ricorso avverso il silenzio-rifiuto e istanza di mediazione – Periodo d’Imposta: 2012 – Tributo: IVA,

Visto il ricorso e i relativi allegati;

Udite le parti in causa;

Udito il relatore, il Dott. Sodaro Antonino;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

– Il 28/04/2009 l’avv. (Omissis) era confermata Amministratore di Sostegno (ADS) per l’amministrazione del patrimonio di persona impossibilitata a provvedere ai propri interessi al sensi dell’art. 405 c.c.

– Il 10/05/2012 il Giudice Tutelare assegnava all’avvocato le indennità parta Euro 1.000 per l’attività prestata; Pur non ritenendolo dovuto, veniva emessa fattura di pari importi assoggettandolo a IVA per Euro 173,55.

– Il giorno 17/07/2012 lo (Omissis) presentava istanza per il rimborso dell’Importo di Euro 173,65 versata a titolo di IVA sulla fattura (n. 207/2012)

– Formatosi il rifiuto tacito al compimento del novantesimo giorno successivo alla presentazione dell’Istanza di rimborso, lo Studio presentava, in data 30/10/2012, il reclamo ex art. 17bis del D.Lgs. 546/1992,

– In data 03/01/2013 lo Studio depositava il ricorso alla Commissione Tributaria di 1° Grado

– La Direzione Provinciale di Trieste, in persona del suo Direttore pro-tempore si costituisce in data 05/02/2013

Motivi d’impugnazione

I ricorrenti fanno presente che il Giudice Tutelare nominando l’avv. (Omissis) amministratrice di sostegno della Sig.ra (Omissis), in data 10.5.2012 provvedeva alla liquidazione di un compenso per un periodo di due anni nella complessiva cifra di Euro 1.000,00 – puntualizzando espressamente che si trattava non di attività professionale ma dell’attività prevista dalla normativa che aveva istituito la figura dell’amministratore di sostegno e che quindi doveva ritenersi non soggetta né a IVA né a IRPEF. Tenuto conto della diversa interpretazione esistente fra Autorità Giudiziaria ordinaria e Agenzia delle Entrate, veniva emessa la fattura n. 207 del 04.06.2012, assoggettandola a IVA, e IRPEF presentando istanza di rimborso e, trascorso il termine del silenzio-rifiuto, presentando regolare reclamo contro il silenzio-rifiuto.

Come previsto dalla normativa ora in vigore,trattandosi di cifra inferiore a Euro 20.000,00.- la ricorrente ha dato corso ai procedimento di mediazione.

Chiedono all’Agenzia delle Entrate di Trieste di fissare un incontro di mediazione, e con il presente atto propongono comunque ricorso avverso il silenzio – rifiuto della Agenzia delle Entrate di Trieste, alla Commissione Tributaria di 1° Grado chiedendo fin d’ora che la Commissione decida:

  • che l’indennità prevista dalla normativa quale compenso per l’amministratore di sostegno non è soggetta a IVA,

2) condanni l’Agenzia delle Entrate al rimborso della somma richiesta di Euro 173,55;
3) dichiari le spese del giudizio compensate fra le parti.

L’ufficio ritiene l’indennità, un compenso percepito nell’esercizio della sua professione, ossia una somma corrisposta, a un professionista, per lo svolgimento di mansioni attinenti al suo lavoro, sulla base di quanto previsto dal tariffario.

L’incarico di ADS, dunque rientra fra gli adempimenti dell’avvocato, espressamente previsti dalla tabella professionale, alla quale si correla un compenso circa l’impegno profuso in tale attività stragiudiziale, inquadrabile come reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53 del P.P.R. 917/1980.

Chiede di rigettare il ricorso e per l’effetto confermare la legittimità dell’operato dell’Ufficio; condannare il ricorrente al pagamento delle spese dei giudizio.

MOTIVI DELLA SENTENZA

il “compenso” dell’amministratore di sostegno è disciplinato dall’art. 379 cod. civ. con riferimento all’art. 411 co. 1 C.P.C., che determina rinvio formale alle norme in tema di tutela, “perché applicabili” quella in esame è norma dettata in tema d’interdizione statuendo che la cura della persona è al centro dell’istituto dell’amministrazione di sostegno.

La disposizione afferma che “L’ufficio tutelare è gratuito“, e al secondo comma recita: “Il giudice tutelare tuttavia, considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione, può assegnare al tutore un’equa indennità. Il riferimento alla gratuità dell’ufficio fa ritenere che l’indennità erogata non debba essere assoggettata a tassazione (diretta o indiretta) perché non avente natura remunerativa e non erogata in sostituzione di altra categoria di redditi, come richiesto dall’art. 6, comma 2 del T.U.I.R.

L’”equa indennità” alla quale fa riferimento la norma è infatti erogata allo scopo di tenere indenne il destinatario dalle “perdite”, patrimoniali subite in conseguenza dello svolgimento dell’incarico e mira a risarcire l’incaricato per la sua distrazione dalle occupazioni quotidiane a prescindere che si tratti di occupazioni remunerate a titolo di lavoro dipendente o ad altro titolo.

La Suprema Corte di Cassazione chiamata dal Tribunale di Lecce, a giudicare della questione di legittimità costituzionale dell’art. 379; è intervenuta sull’istituto della indennità, prevista dal secondo comma dell’art. 379 cod. civ., in deroga alla regola della gratuità dell’ufficio tutelare. Si legge in motivazione che “indennità non vuol dire corrispettivo, né equivalente monetario delle energie profuse, ma semplice ristoro.

La Corte non ha dubbi nel qualificare, come indennità l’importo riconosciuto al tutore.

L’Agenzia delle Entrata con la risoluzione n. 2/E del 9.1.2012 della Direzione Centrale Normativa, ritiene “che la relativa indennità, anche se determinata in via equitativa e su base forfetaria, rappresenti comunque un compenso per lo svolgimento di un’attività professionale, inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53 del testo unico dell’imposta sui redditi e rilevante ai fini IVA ai sensi degli articoli 3 e 5 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633”, a giudizio di questa Commissione, l’indennità non perde la sua natura indifferentemente dal soggetto che la percepisca, sia esso un parente, un conoscente, un professionista, salvo che non vengano attribuiti compiti specificaménte tipici della professione di appartenenza dell’amministratore di sostegno, rappresentando prestazioni professionali, e come tali liquidati, nel rispetto della legge. Il Giudice Tutelare può liquidare le due fattispecie di compensi uno compensativo l’altro remunerativo, al professionista avente funzione di amministratore di sostegno. Dal compenso remunerativo conseguono gli adempimenti tributari propri della categoria reddituale del “lavoro autonomo” e l’ordinario adempimento IVA. Questa commissione esaminato il decreto di nomina di amministratore di sostegno dell’Avv. (Omissis), del Foro di Trieste e il Decreto di liquidazione ex art. 379 cod. civ., vista l’attività concretamente svolta di assistenza e monitoraggio prestata nel periodo ultrabiennale con coinvolgimelo nell’assistenza e mantenimento di rapporti con il personale sodale e medico; concorda con il giudizio dato dal Giudice Tutelare dott. Sergio Camimeo che l’attività prestata non sia di tipo neppure prevalentemente professionale e che pertanto l’indennità liquidata non sia inquadrabile, secondo il dettato normativo dell’art. 379 c.c. in una forma di retribuzione.

Questa commissione ritiene fondato il ricorso, condanna l’Agenzia delle Entrate al rimborso della somma richiesta di Euro 173,55 dichiara le spese del giudizio compensate fra le parti.

P.Q.M.

LA COMMISSIONE ACCOGLIE IL RICORSO, CONDANNA L’AGENZIA DELLE ENTRATE AL RIMBORSO DELLA SOMMA RICHIESTA DI Euro 173.55 DICHIARA LE SPESE DEL GIUDIZIO COMPENSATE FRA LE PARTI.

Conclusione

Così deciso in Trieste il 18 marzo 2014.
Depositata in Segreteria il 19 giugno 2014.

***

Cass. civ., Sez. I, (data ud. 04/07/1991) 04/07/1991, n. 7355 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONESEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg. Magistrati:

Giuseppe SCANZANO – Presidente –

Renato SGROI – Consigliere –

Vincenzo CARBONE – Consigliere –

Alfio FINOCCHIARO – Consigliere –

Giulio GRAZIADEI RELATORE – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto

da

Randazzo Natale elett.te domiciliato in Roma v. Taro 35 c/o l’avv. Eduardo Di Giovanni, rappr. e difeso dall’avv. Vito Galuffo giusta delega in atti

RICORRENTE

CONTRO

Di Martino Andrea n. Q. di tutore dello interdetto Di Martino A. Antonino

INTIMATO

Avverso il provvedimento del Tribunale di Palermo dell’8.11.86.

Udito la relazione del Cons. Graziadei.

Udito per il ric.

Udito per il res.

Udito il P.M. Dott. Amirante che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

R.G.n. 1862/87; ud.19 settembre 1990;

Pres. G. Scanzano; rel. G. Graziadei;

Svolgimento del processo

Il Giudice tutelare di Palermo, con provvedimento del 30 giugno 1986, negava l’approvazione del rendiconto presentato dall’Avv. Natale Randazzo, in relazione alla precorsa attività di tutore, dell’interdetto Antonino Di Martino ,e gli riconosceva, per l’opera svolta, la somma di lire 2.000.000.

Il Tribunale di Palermo, con pronuncia camerale del 7/8 novembre 1986, respingeva il reclamo dell’Avv. Randazzo. Il Tribunale, fra l’altro, escludeva la rimborsabilità di spese per la consumazione di pasti presso ristoranti od analoghi esercizi, in quanto, non necessarie all’espletamento della funzione; di spese di locomozione, postali e telefoniche, dato che, nell’ammontare richiesto, non erano giustificate, e, peraltro, non erano corredate da adeguata documentazione; di corrispettivi erogati a terzi, in qualità di collaboratori, perché la loro nomina non era stata preventivamente autorizzata. In ordine poi all’entità del compenso, il Tribunale riteneva equa la misura fissata dal Giudice tutelare, sul rilievo che l’incarico aveva avuto, la breve durata di circa due mesi, come indicato dallo stesso reclamante. Per la cassazione di detta pronuncia, l’Avv. Randazzo ha proposto ricorso sulla base di quattro censure, con atto notificato il 9 febbraio 1987 ad Andrea Di Martino, tutore di Antonino Di Martino.

L’intimato non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Il ricorso è ammissibile, ai sensi dell’art. 111 della Costituzione. Il provvedimento impugnato, ancorché reso con la forma del decreto in esito a procedimento in camera di consiglio, ha natura decisoria, perché riguarda diritti soggettivi, quali sono da qualificare i crediti discendenti dalla funzione tutelare, e statuisce su di essi, con attitudine ad acquistare autorità di giudicato, nel rapporto con il debitore, cioé l’interdetto, rappresentato dal nuovo tutore; il provvedimento medesimo, inoltre, non è altrimenti denunci abile, e, quindi, rientra nella previsione del secondo comma della citata norma della Costituzione (cfr. Cass. n. 4755 del 13 luglio 1983).

Con il primo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente, il ricorrente deduce difetto di motivazione circa il mancato riconoscimento delle spese per vitto, mezzi di locomozione, comunicazioni postali e telefoniche.

Premettendo la propria qualità di avvocato esercente in una città (Trapani) diversa da quella, della tutela (Palermo), nonché allegando la partizione del patrimonio e degli interessi dell’interdetto (titolare di un’impresa, socio di una società commerciale, coinvolto in un elevatissimo numero di contese civili e penali), il Randazzo si duole che il Tribunale abbia del tutto trascurato le risultanze del fascicolo tutelare; queste, valutate in correlazione dei suddetti elementi, avrebbero evidenziato come indispensabili frequenti viaggi, lunghi soggiorni “fuori sede”, ripetute utilizzazioni del telefono e del servizio postale, e, pertanto, avrebbero imposto il pieno recupero dei relativi oneri (liquidabili in via forfettaria, per le voci non suscettibili di analitica dimostrazione).

Le riportate censure sono fondate, nei limiti delle seguenti considerazioni.

Il Tribunale di Palermo, nel l’argomentare il diniego del rimborso delle spese in questione, si limita ad affermare, come sopra ricordato, che le une non erano necessarie e che le altre non erano giustificate o comunque provate.

Tali enunciati non integrano ottemperanza all’obbligo della motivazione; obbligo cui non si sottrae il provvedimento camerale, nella parte in cui assuma la rilevata consistenza di decisione su posizioni di diritto soggettivo in conflitto.

In via generale va osservato che il tutore dell’incapace non opera quale mandatario e rappresentante in base a titolo negoziale, ma, in forza di nomina giudiziale, svolge una funzione con connotazioni anche pubblicistiche, e, in questa veste, è tenuto alla presentazione di rendiconto. Ne deriva che la decurtazione della “nota – spese” presentata dal tutore, con riferimento a voci potenzialmente riconducibili nell’ambito degli oneri inerenti all’espletamento dell’incarico (come appunto quelli in esame, trattandosi di legale esercente altrove la sua attività professionale),si traduce sostanzialmente in una contestazione della regolarità dell’operato del tutore medesimo, e, pertanto, non può prescindere da valutazioni circa la natura e portata dell’ufficio affidato e degli atti da esso richiesti.

Alla luce di detti rilievi si deve ritenere che il Tribunale, nel definire le questioni insorte sulla ripetibilità di esborsi per viaggi, soggiorni, telefonate e spedizioni postali, non poteva limitarsi alle indicate enunciazioni (come se si vertesse in tema di pretesa creditoria avanzata in sede ordinaria, per il cui rigetto è sufficiente riscontrare la mancata deduzione e dimostrazione dei suoi elementi costitutivi),ma era tenuto a vagliare gli atti della procedura tutelare, alla quale si correlava il rendiconto, per poi spiegare le ragioni dell’affermata esorbitanza o comunque eccedenza degli esborsi stessi rispetto ai compiti concreti del tutore ed agli atti da lui effettivamente posti in essere.

L’indicato errore di impostazione e le carenze d’indagine ad esso conseguenti sono da ravvisarsi anche con riguardo al mancato rimborso dei pasti consumati dal Randazzo presso ristoranti, in Palermo, che il Tribunale ha argomentato con l’affermazione di non occorrenza di tali pasti all’adempimento dei compiti tutori. Questa affermazione, invero, sarebbe giustificata solo in esito all’accertamento della possibilità del tutore di ottemperare ai suoi obblighi con brevi soggiorni fuori sede, facendo ritorno alla propria residenza od ufficio prima del tempo normalmente destinato a soddisfare i bisogni alimentari. In caso contrario, il rimborso in esame deve essere accordato, non potendo ovviamente farsi carico al tutore di affrontare digiuni od altri disagi, salva restando poi la diversa questione, logicamente successiva al riscontro del collegamento causale fra spesa ed incarico, della congruità del “quantum”(questione da definirsi alla stregua delle circostanze del caso concreto, le quali, si ribadisce, sono state obliterate dal provvedimento impugnato).

Con il secondo motivo, il Randazzo, assumendo che l’art. 379 cod.civ. richiede l’autorizzazione per l’assunzione di impiegati, non anche quindi per il conferimento a terzi di incarichi di prestazione, d’opera (professionale o meno), sostiene che il Tribunale non poteva negargli il ristoro di quanto pagato, per attività occorrenti alla gestione degli interessi dell’interdetto, a due saltuari collaboratori (una praticante procuratrice legale, cui era stata affidata una dettagliata relazione sulle pendenze giudiziali del Di Martino, ed un “uomo di fiducia”, con mansioni di domiciliatario, commesso e fattorino).

Il motivo è fondato, sotto il profilo del mancato accertamento, da parte del Tribunale, dei presupposti per l’applicazione dell’art. 379 secondo comma cod.civ..

Detta disposizione richiede l’autorizzazione del giudice tutelare affinché il tutore possa “farsi coadiuvare nell’amministrazione da una o più persone stipendiate”.

L’espressione “persone stipendiate”, vale a dire stabilmente retribuite per la loro opera, l’inequivoco riferimento della norma alle attività inerenti alla cura del patrimonio dell’interdetto, ed altresì la sua “ratio” (la tutela è un incarico strettamente fiduciario, e, quindi, per la delega dei relativi compiti, si esige un preventivo controllo sulla scelta del delegato) portano ad affermare che la norma medesima, ancorché non consenta distinzioni fra lavoratori subordinati e lavoratori autonomi, riguarda esclusivamente il caso in cui gli uni o gli altri vengano affiancati al tutore, in via continuativa, nella cura degli interessi del rappresentato, non il caso in cui si occupino saltuariamente di incombenze esecutive e comunque accessorie rispetto all’attività tutoria.

Il Tribunale, pertanto, avrebbe potuto negare la ricuperabilità delle spese per compensi a terzi, in difetto di autorizzazione, solo previo accertamento della ricorrenza della prima delle delineate ipotesi.

Con il quarto motivo, si critica la determinazione del “quantum” del compenso, deducendosi che il Tribunale ha errato nel fissare in soli due mesi la durata della tutela, per poi liquidare una semplice “mancia”, del tutto inadeguata alla pesantezza dell’incarico ed al suo espletamento da parte di un professionista.

Il motivo è infondato.

In deroga alla regola della gratuità dell’ufficio tutelare, posta dall’art. 379 cod.civ. con il primo comma, la norma stessa, con il secondo comma, attribuisce al giudice, in correlazione del patrimonio e delle difficoltà dell’amministrazione, il potere di accordare un’indennità.

Considerando che indennità non vuol dire corrispettivo, né equivalente monetario delle energie profuse, ma semplice ristoro al riguardo (ancorché; apprezzabile e non meramente simbolico), e che, inoltre, per l’indennità in esame, la citata disposizione contempla come unico parametro liquidatorio l’equità, così lasciando ampia discrezionalità, si deve rilevare l’inconsistenza delle censure del Randazzo, nella parte in cui fanno leva sull’inidoneità retributiva della somma in concreto attribuitagli dal Tribunale, nonché la loro inammissibilità, nella parte in cui tendono a rinnovare in questa sede l’apprezzamento, squisitamente di merito, circa la rispondenza ad equità di tale somma (peraltro con deduzioni generiche, non indicandosi quale maggiore durata avrebbe avuto l’incarico tutorio, rispetto ai due mesi riscontrati dal Tribunale, e quali elementi dovrebbero evidenziarla).

In conclusione, il ricorso deve essere accolto limitatamente ai primi tre motivi, per carenza di indagine e motivazione in punto di disconoscimento delle spese per viaggi, vitto, comunicazioni postali e telefoniche, nonché in punto di diniego del recupero delle spese per l’utilizzazione dell’opera di terzi.

Il provvedimento impugnato deve essere cassato, per un riesame del reclamo del Randazzo, che colmi le lacune e tenga conto dei rilievi sopra effettuati.

Al giudice di rinvio, che si designa in altra Sezione del Tribunale di Palermo, si affida la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso e ne rigetta il quarto. Cassa il provvedimento impugnato e rinvia, anche per la spese del presente giudizio ad altra Sezione del Tribunale di Palermo.

Roma,19 settembre 1990

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 4 LUGLIO 1991

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