Ordine di protezione contro gli abusi familiari ex art. 736-bis c.p.c. e 342 ter c.c.

Ordine di protezione contro gli abusi familiari ex art. 736-bis c.p.c. e 342 ter c.c.

 

Con ricorso all’adito Tribunale i genitori chiedevano l’applicazione dell’art. 342 ter c.c. a danno di loro figlio

Negli ultimi mesi la situazione è degenerata tanto da divenire insostenibile, anche considerando la circostanza che i genitori (gli odierni ricorrenti), proprio a causa degli atteggiamenti violenti assunti dal figlio in famiglia, vivono ormai in una condizione costante di stress e tensione emotiva, oltre ad aggiungersi, come detto, circostanze precise che costringono padre e madre ad essere prigionieri tra le mura della loro casa, prigionieri del tanto voluto e tanto ancora amato figlio, vittime di vere e proprie aggressioni da parte dello stesso.

Vista la gravità degli episodi verificatisi, a causa, più in generale, della gravità della situazione così come sovra descritta, al fine di tutelare l’integrità psico-fisica propria, ma anche l’integrità psico-fisica dello stesso figlio, i genitori si vedevano costretti ad un gesto intriso di dolore e al contempo d’amore, quello di ricorrere al Tribunale per ottenere il provvedimento di cui all’art. 342 ter c.c.

 

Preliminarmente, va detto che l’art. 342 bis c.c. stabilisce che l’ordine di protezione si applica nel caso in cui la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o altro convivente.

Presupposto oggettivo per l’accoglimento di tale istanza è costituito dal compimento di una condotta idonea ad arrecare un grave pregiudizio; non deve trattarsi di singoli episodi compiuti a distanza tra di loro, ma di azioni reiterate, ravvicinate nel tempo e consapevolmente dirette a ledere i beni tutelati dalla L. 154/2001, in modo che ne risulti gravemente e senza soluzione di continuità alterato il normale regime di convivenza del nucleo familiare; la valutazione della gravità è rapportata alla intensità del pericolo, alla probabilità di una reiterazione dei medesimi comportamenti.

Ai fini della concessione della misura richiesta dovrà, poi, essere accertata la lesione all’integrità fisica, all’integrità morale – intesa come serenità, immagine, onore e tutti gli altri aspetti relativi alla salute psichica – o alla libertà personale – intesa come capacità di decidere ed agire liberamente – essendo sufficiente anche solo la lesione di uno dei beni tutelati e, dunque, la configurazione di uno dei pregiudizi a configurare l’abuso e, dunque, consentire l’adozione dei provvedimenti richiesti.

Il legislatore ha così voluto introdurre nell’ordinamento uno strumento a tutela dell’integrità fisica o morale ovvero della libertà di ogni familiare, nel tentativo di fornire adeguata e tempestiva protezione alla parte richiedente, da applicarsi ogni qual volta siano posti in essere comportamenti aggressivi, violenti o comunque limitativi della libertà, con la precisazione che nel bilanciamento degli interessi contrapposti tra il familiare allontanato e quel-li delle vittime degli abusi familiari, deve darsi nettamente prevalenza a questi ultimi ad essere tutelati da ulteriori atti di aggressione e a vivere in un ambiente sereno e non contaminato da comportamenti vessatori e prevaricatori del familiare violento.

A ciò si aggiunge il rilievo ulteriore secondo il quale nell’interpretazione dell’art. 342 bis c.c. la giurisprudenza (di merito) ha affermato che gli ordini di protezione possono essere emessi non solo allo scopo di interrompere situazioni di convivenza divenute ormai intollerabilmente conflittuali, ma anche di impedire e prevenire condotte antigiuridiche in ambito familiare ove le stesse possano avere luogo a prescindere dalla coabitazione, in quanto propiziate dalla vicinanza – in termini di rapporti e di luoghi di frequentazione – tra i familiari (Tribunale Salerno, sez. I, 13.04.2012; Tribunale Reggio Emilia, 11.07.2007; Tribunale Modena, 29.07.2004).

Il requisito della convivenza, pertanto, non è necessario per l’emissione di tali provvedimenti in quanto il legislatore, introducendo tali misure, ha inteso tutelare i familiari da condotte pregiudizievoli che potrebbero essere perpetrate anche al di fuori della casa familiare, tanto che il contenuto del provvedimento può andare al di là del semplice allontanamento dalla casa familiare, giungendo al divieto di frequentare altri luoghi in cui sia possibile incontrare le vittime.

Premesso tanto sulle linee generali dell’istituto, venendo al caso di specie, i ricorrenti hanno rappresentato, anche comparendo in udienza – di vivere attualmente, insieme al figlio, nella stessa abitazione, – di subire quotidianamente gli eccessi d’ira del figlio, – d’assistere, impotenti, agli episodi di violenza alle cose, – sentendosi gravemente lesi nella loro integrità, alternando momenti di paura a momenti di sconforto.

Risulta, inoltre, provata la futilità dei motivi che spingono il figlio alla violenza verso i propri genitori; violenza, invero, non negata neppure dallo stesso figlio, seppure a suo dire, tal volta determinata da asserite provocazioni del padre. Per quanto, allora, emerge dagli atti di causa, il figlio si è indubitabilmente reso responsabile di plurimi atti di aggressione – fisica e verbale – nei con-fronti del proprio padre e della propria madre, i quali hanno ben dimostrato, riuscendo a trasmettere all’udienza la percezione del loro sentire, di avere, ormai, paura del figlio, di soffrire a causa di lui e per lui.

Il figlio, dal suo canto, come detto, pur ritenendo eccessivamente amplificata la portata degli eventi così come riferiti dai genitori, non ha negato, in definitiva, di essersi reso protagonista di azioni aggressive nei confronti della madre e del padre, né ha disconosciuto i motivi in ragione dei quali è iroso e violento verso di loro.

I fatti che qui possono ritenersi accertati costituiscono, quindi, certamente comportamenti aggressivi e minacciosi, reiterati nel tempo, idonei a creare un senso di paura ed angoscia nei ricorrenti, padre e madre, comportamenti che non possono configurarsi come meri gesti occasionali ed inopportuni, costituendo, invece, condotte atte a ledere l’integrità fisica, morale e personale degli istanti e che minano la loro dignità e la loro personalità, con presumibili gravi ripercussioni anche sulla loro salute psichica.

Va, quindi, rammentato che i provvedimenti ex art. 342 bis e ss. c.c. possano essere emessi non solo allo scopo di interrompere situazioni di convivenza divenute ormai intollerabilmente conflittuali, ma anche di impedire e prevenire condotte antigiuridiche in ambito familiare ove le stesse possano aver luogo a prescindere dalla coabitazione, in quanto propiziate dalla vicinanza – in termini di rapporti e di luoghi di frequentazione (cfr. Trib. Bari, ord. 11 dicembre 2001, in Foro it., 2003, p. 948 ss.; Trib. Firenze, decreto 15 luglio 2002, in Fam. e dir., 3/2003) Trib. Milano, decreto del 13 agosto 2005; Trib. Modena, decreto 29 luglio 2004; Trib. Milano, decreto 19 febbraio 2004; Trib. Bologna, decreto 22 marzo 2005, in Famiglia pers. succ., 2005, p. 184; Trib. Roma, decreto 25 giugno 2002, in Giur. merito, 2002, p. 1290).

I presupposti per la richiesta presentata:

L’art. 342 bis, c.c. prevede che gli ordini di protezione contro gli abusi familiari vengano disposti “quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente”.

Alla base dei provvedimenti ex art. 342 ter, c.c., pertanto, devono sussistere due distinte circostanze:

  1. la convivenza;
  2. una condotta gravemente pregiudizievole all’integrità fisica.
  3. i. La “convivenza”, ovvero, l’applicazione delle misure di protezione presuppone che la vittima ed il soggetto cui viene addebitato il comportamento violento vivano all’interno della medesima casa, in quanto l’art. 5 della L. 154/2001 fa esclusivo riferimento al nucleo costituito dai familiari conviventi[1].
  4. La “condotta gravemente pregiudizievole all’integrità fisica”.

Il presupposto per la concessione dell’ordine di protezione non è rappresentato, in sé, dalla condotta del convivente nei cui confronti si richiedono le misure di protezione, bensì dall’esistenza di un pregiudizio grave all’integrità fisica, “morale”[2] o alla “libertà personale[3] patito dai familiari conviventi, imputabile in termini causali alla condotta dell’altro[4].

La circostanza in parola si basa, in altri termini:

  1. sulla esistenza di fatti violenti dai quali siano derivate non insignificanti lesioni alla persona, ovvero di una situazione di conflittualità tale da poter prevedibilmente dare adito al rischio concreto ed attuale, per uno dei familiari conviventi, di subire violenze gravi dagli altri;
  2. sulla verificazione di un vulnus” alla dignità dell’individuo di entità non comune, in relazione alla delicatezza dei profili della dignità stessa concretamente incisi, ovvero per le modalità “forti” dell’offesa arrecata e per la ripetitività o la prolungata durata nel tempo della sofferenza patita dall’offeso [5], indipendentemente da qualsiasi indagine sulle cause dei comportamenti violenti e sulle rispettive colpe nella determinazione della situazione [6].

Il Tribunale di Milano[7] ha precisato che la condotta del soggetto nei cui confronti l’istante chiede l’emanazione dell’ordine deve essere valutata dal giudice sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo: qualitativo, nel senso della concreta modalità idonea a rappresentare un pericolo per la parte ricorrente e per il proprio nucleo familiare, quantitativo con riferimento all’entità della condotta perdurante nel tempo, alla sua efficacia offensiva ed alla sua dimensione psicologica.

Che nell’interpretare il concetto di evento pregiudizievole di cui all’art. 342 bis c.p.c. è possibile rifarsi alle elaborazioni formulate in sede penale, in particolare, a quelle che attengono ad alcuni dei beni giuridici nei delitti contro la persona; il pregiudizio alla “integrità fisica” si verifica quando la persona è vittima di azioni di violenza che incidono direttamente sul corpo, come nel caso di percosse o lesioni. Con l’espressione “integrità morale” di far riferimento al patrimonio dei valori dei quali il soggetto è depositario.

Gli atti denunciati consistono principalmente in violenza, finalizzata alla sopraffazione dei genitori attraverso minacce, umiliazioni e vere e proprie aggressioni fisiche:

1) violenza psicologica: atteggiamenti penetranti ma sottili quali intimidazioni, minacce, vessazioni, continue e persecutorie, tali da non essere state, in un primo momento, nemmeno percepite come violenza da parte dei genitori;

2) violenza fisica: non solo produrre lividi, ferite e fratture, ma anche urlare e aggredire verbalmente i genitori, spaccare oggetti, eccetera;

3) violenza economica: continue richieste dei denari.

L’irrinunciabile tutela della salute, valore protetto dalla Costituzione (art. 32), impone di accogliere un’interpretazione della norma tale da comprendere anche il pregiudizio all’integrità psichica. Il valore della “libertà” , invece si apprezza per il suo significato più ampio, non circoscritto alla personalità morale dell’individuo, ma esteso a tutti quei profili che riguardano la capacità del soggetto di autodeterminarsi (artt. 2, 13, 15 e 21 Cost). Trib. Bologna, decreto 21 marzo 2005, dep. 22.3.2005).

La ratio della norma “non sia tanto quella di interrompere situazioni di “convivenza turbata”, quanto piuttosto quella di impedire il protrarsi di comportamenti violenti in ambito familiare, gravemente pregiudizievoli per l’integrità fisica o morale o per la libertà” (Trib. Firenze, decr. 15.7.2002).

 

[1] Cfr. Tribunale di Rieti, 06/03/2006, in Fam. Pers. Succ., 2007, 7, 606. Conformi, sul punto, Tribunale di Napoli, 01/02/2002, in Famiglia e Diritto, 2002, 5, 504; Tribunale di Napoli, 18/12/2002, in Gius, 2003, 2, 230.

[2] Integrità morale tesa come “un “vulnus” alla dignità dell’individuo di entità non comune, o per la particolare delicatezza dei profili della dignità stessa concretamente incisi, o per le modalità – forti – dell’offesa arrecata, o per la ripetitività o la prolungata durata nel tempo della sofferenza patita dall’offeso” (così Tribunale di Bari, 28/07/2004, in Corriere del Merito, 2005, 3, 275; conforme, Tribunale di Bari, 18/07/2002, in Famiglia e Diritto, 2002, 6, 623.

Riferimento esplicito alla violenza morale è presente, tra le altre, in Tribunale di Bari, 28/07/2004, op. cit.; Tribunale di Bari, 18/07/2002, op. cit.; Tribunale di Terni, 26/09/2003, in Foro It., 2005, 1, 555; Tribunale di Barletta (decr.), 01/04/2008, in Fam. Pers. Succ., 2008, 7, 656; Tribunale di Reggio Emilia (decr.), 10/05/2007, in Fam. Pers. Succ., 2007, 10, 843; Tribunale di Trani, 12/10/2001, op. cit.; Tribunale di Bari, 07/12/2001, in Famiglia e Diritto, 2002, 4, 396; Tribunale di Terni, 26/09/2003, op. cit.; Tribunale di Desio, 29/10/2003, in www.leggiditaliaprofessionale.it, 2005; Tribunale di Piacenza (decr.), 23/10/2008, in www.leggiditaliaprofessionale.it, 2008.

[3] Come violente aggressioni verbali e minacce di arrecare mali ingiusti (così Tribunale di Bari, 07/12/2001, op. cit.). Si vedano anche Tribunale di Genova (decr.), 07/01/2003, in Famiglia e Diritto, 2004, 387; Tribunale di Desio, 29/10/2003, op. cit..

[4] Cfr., tra le altre, Tribunale di Bari, 28/07/2004, op. cit.; Tribunale di Barletta (decr.), 01/04/2008, op. cit.; Tribunale di Reggio Emilia (decr.), 10/05/2007, op. cit.; Tribunale di Bologna (decr.), 25/05/2007, in Fam. Pers. Succ., 2007, 10, 841; Tribunale di Terni, 26/09/2003, op. cit..

[5] Cfr. Tribunale di Bari, 28/07/2004, op. cit.; conforme, Tribunale di Bari, 18/07/2002, op. cit. (nella specie, si è escluso che tale pregiudizio sia ravvisabile nel comportamento del marito che, nell’ambito di una crisi coniugale improvvisamente insorta da pochi mesi, non fornisce alla moglie il denaro occorrente per le esigenze primarie di quest’ultima e della famiglia, provvedendo però in prima persona al reperimento delle provviste domestiche e a talune spese mediche).

[6] Cfr. Tribunale di Terni, 26/09/2003, op. cit..

[7] Tribunale Milano, ord. 30 giugno 2016. Tale ordinanza risulta innovativa giacché nel caso in esame il Tribunale ha ritenuto che anche un solo schiaffo costituisce un atto di violenza che non può essere tollerato dall’ordinamento, giacché il matrimonio non è il luogo in cui i diritti inalienabili dei coniugi possono essere sottomessi in ragione di logiche culturali o sociali, e pertanto è configurabile l’emissione dell’ordine di protezione.

ordinanza Trib. Pisa abusi familiari

 

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